Monsignor Bacciarini e Madre Elisabetta

Monsignor Bacciarini e Madre Elisabetta

Madre Elisabetta e Monsignor Bacciarini due personalità

La fondazione delle suore brigidine dell’Ordine del SS. Salvatore che ha sede a Lugano ha posto di fronte le due personalità, quella del Vescovo Bacciarini e quella della fondatrice Santa Elisabetta Hesselblad.
Sono due esempi di vita cristiana: lei è stata elevata alla gloria degli altari come Santa, lui sta in cammino, con la positio portata a termine e il processo delle virtù eroiche già concluso: manca solo il miracolo. In quanto persone sono uniche e irripetibili, ben diverse l’una dall’altra. Ogni uomo ha questo privilegio della persona: essere un tutto, sussistente, di natura spirituale. Tale è la sua dignità. Ma l’uomo è anche homo viator, è un essere in cammino, con infinite possibilità di sviluppo e crescita. Questo itinerario della persona verso la sua pienezza si può chiamare personalità. La personalità si acquisisce. L’uomo, come i viventi, non cresce per aggiunte esterne, come fa colui che indossa nuovo abiti uno sopra l’altro, ma cresce dall’interno e dalle capacità ereditate che si sviluppano conformemente ai fini della propria natura. Ogni passo è una sorta di sviluppo e di trascendenza. La personalità si forma intorno ad un nucleo e ad un progetto: che cosa posso fare, che cosa voglio da me stesso? La persona è in sé stessa un mistero, ma la personalità è una finestra aperta sul suo profondo.

Mi chiedo insieme a voi come sia possibile accedere alle due personalità, a quella di Monsignor Bacciarini e a quella di Santa Elisabetta. Come dipingere la faccia per svelare la loro anima? Ecco alcune possibili piste da percorrere: sono coetanei, tutti e due hanno un nucleo ben preciso, tutti e due dimostrano un eccezionale coraggio, nonostante le dure prove della malattia, tutti e due sono all’ascolto di una chiamata per dare precisa risposta. Quindi, tutti e due hanno una forte personalità.

Monsignor Bacciarini e Madre Elisabetta sono coetanei. Entrambi si formano e crescono nel secolo XIX, si progettano nel secolo XX. Elisabetta nasce tre anni prima di Monsignor Bacciarini e muore 22 anni dopo. L’arco di esistenza di Santa Elisabetta va dal 1870 al 1957. Quello di Monsignor Bacciarini invece inizia nel 1873 e si conclude nel 1935. Bacciarini vive 62 anni, Elisabetta 87. S’incontrano ogni tanto a Lugano nel corso di dieci anni, dal 1924 al 1935, Al momento della fondazione della comunità di Lugano Elisabetta ha 54 anni, Bacciarini 51.

Tutti e due hanno avuto un’esistenza irrequieta, itinerante. La prima tappa in famiglia è per molto versi simile. Sono nati e cresciuti in famiglie numerose, quella di Elisabetta conta 13 figli, quella di Bacciarini 6. Entrambi conoscono la dura faccia della povertà. I genitori li lasciano orfani, con la morte del padre prima e poi, quando ancora sono giovani, quella della madre. Tutti e due sono stati costretti a lasciare la famiglia ancora nell’adolescenza. Bacciarini lascia Lavertezzo per andare in Seminario, Elisabetta la patria svedese per andare in America a lavorare. Imparerà la professione di infermiera. Lo stesso cammino in direzione della California lo hanno fatto le sorelle del Vescovo Bacciarini, Filomena e Teresa, come pure i fratelli Martino e Michele. Entrambi i nostri personaggi hanno conosciuto la solitudine e l’angoscia dell’esistenza, ma anche il conforto della fede cristiana, protestante quella di Elisabetta, cattolica quella di Bacciarini.
Sempre tutte e due possiedono un nucleo centrale che hanno percepito nell’adolescenza e che è presente durante tutta la vita. Monsignor Bacciarini ci svela questo nucleo centrale con un’espressione del suo iniziale progetto di vita: voglio essere prete e santo.

Monsignor Cattori ci racconta che un giorno, quando aveva 6 anni, come si suol fare con i bambini, il cui avvenire è così pieno di mistero, gli fu chiesto a bruciapelo, “Aurelio, cosa vuoi fare quando sarai grande? Egli pensò un istante e poi, nel suo dialetto rispose: “Voglio farmi prete e santo”

Elisabetta ha captato questo nucleo attraverso un sogno anteriore alla sua conversione al cattolicesimo; ha sognato di trovarsi a Roma, davanti alla casa dove ha abitato Santa Brigida; in quella casa ha visto la finestra della stanza dove dovrà andare ad abitare un giorno. Ce lo racconta nel suo diario: Quando ero ancora bambina, in quello che pensai fosse un sogno, vidi me stessa in un’ampia piazza nella quale vidi la casa in cui Santa Brigida di Svezia aveva vissuto mentre era a Roma; attirò moltissimo la mia attenzione specialmente una finestra di lato e mi vidi proprio in quella stanza. Vent’otto anni dopo, quando ebbi vestito il santo abito delle figlie di Santa Brigida, proprio quella medesima stanza mi fu assegnata per cella.
Ci troviamo davanti a due nuclei di personalità ben diverse, ma tutti e due centrali. Si sentirà spesso insoddisfatto di quanto è riuscito a fare. È il cuore agostiniano sempre inquieto: giovane prete, parroco, fratello dei servi della Carità con Don Guanella, fratello Martino con i trappisti a Tre Fontane. Da lì sarà prelevato da Don Guanella con la mediazione del segretario del Papa Pio X: gli si dice che la sua Trappa è quella di essere parroco a San Giuseppe al Trionfale, Superiore Generale dei Servi della Carità, successore di Don Guanella; poi finalmente Vescovo. come Agostino, sempre insoddisfatto, con il vivo desiderio di conformarsi a Cristo, sacerdote Santo. Un nucleo di ideale di vita come questo si trova in molte altre personalità, mentre quello del sogno della giovane Elisabetta è raro, si direbbe esclusivo per lei. Il nucleo non indica un ideale o un valore da conquistare, bensì un luogo romano, la casa dove ha vissuto Santa Brigida. Questo luogo sarà oggetto di costante ricerca lungo tutta la sua vita. Elisabetta si sente esistenzialmente indirizzata verso questo luogo sognato, Quasi come ago attratto dalla calamita. Lo stesso abito grigio, la stessa corona con le cinque stigmate, la stessa regola dell’Ordine del SS. Salvatore. Questo può risultare strano in una giovane infermiera residente negli Stati uniti, spesso in crociera negli arcipelaghi del mare dei Caraibi, educata nel protestantesimo luterano svedese. La decisione si rafforza quando arriva come turista in Italia, quando si converte al cattolicesimo, quando vieni ammessa al noviziato per due anni con le suore Carmelitane che occupano la casa di Santa Brigida e che le permettono di vestire l’abito grigio e di fare, con la comunità carmelitana e con il beneplacito di Papa Pio X, la professione delle suore brigidine il 10 luglio 1906. Il sogno della sua vita di riportare nella chiesa il carisma di Santa Brigida la fortifica nelle difficoltà che sembrano a volte insuperabili. La ricerca del luogo sognato o del genere di vita consacrata è una sua costante aspirazione. È per lei il punto di appoggio della leva, cercato da Archimede per rimuovere il mondo.

Prima per poter fondare una comunità brigidina deve cercare e studiare i modelli ancora esistenti nel mondo. Non vuole riformare, vuole imparare. A questo scopo essa si mette in cammino e percorre le vie d’Europa. Dovunque si trovi una comunità brigidina, in Inghilterra, In Spagna, in Germania, bussa alle porte e chiede ospitalità. La maggior parte dei conventi le chiudono le porte della clausura in faccia e rifiutano di riceverla. Quando, dopo grandi fatiche, riesce ad avere la sua prima comunione brigidina a Roma, non si trova ancora nella casa sognata. Deve aspettare. La sua paziente attesa supera gli ostacoli e alla fine il suo sogno si avvera. La sua personalità è più forte di tutte le barriere. Nella incessante ricerca della meta preposta, non solo sviluppa la sua personalità, ma allo stesso tempo ricupera per l’Ordine del SS. Salvatore la casa, la regola, lo spirito di Santa Brigida. Come il Battista. Madre Elisabetta desidera scomparire, affinché Santa Brigida ritorni con la sua spiritualità alla Chiesa, e questa sia un valido aiuto per il ripristino della perduta unità dei cristiani. “Questo cosiddetto sogno mi fece sentire un grande interesse per quel luogo di Roma e un desiderio intenso di poterlo visitare”. Il luogo diventa un simbolo. Non sono i luoghi che fanno le persone, sono le persone che conferiscono valore ai luoghi, tramite la corporeità che comporta un rapporto con il mondo nella sua totalità. La casa di Santa Brigida è memoria permanente del carisma della Santa. Ed è questo che Madre Elisabetta vuole ricuperare nella sua integralità. Anche a Monsignor Bacciarini, riscattato da don Guanella dalla Trappa – che significa per lui luogo per la conquista della santità – lo stesso Papa Pio X aveva detto che “la sua Trappa era la parrocchia romana del Trionfale”. Nessun luogo è in grado di contenere integralmente l’uomo, piuttosto è lo spirito dell’uomo che contiene e sorpassa tutti i luoghi!

Un’altra dimensione comune alle due personalità è quella della malattia. Tutti e due sono stati duramente provati dalla malattia. Tutti e due sono esempi dell’homo patiens nelle tre sfere della malattia somatica, psichica e spirituale. Elisabetta aveva 12 anni quando ha avuto inizio la sua sofferenza; e questa l’ha accompagnata lungo tutto l’arco della sua vita; novizia, infermiera, viaggiatrice, fondatrice, malata anche quando era a Lugano. La sua professione era quella dell’infermiera, ma la dura sua realtà era di essere inferma, costretta a letto per lunghi periodi di convalescenza. Ha cominciato con malattie dello stomaco e poi ha sofferto di cardiopatia e di encefalopatia. Parecchie volte i medici l’hanno dichiarata inguaribile. Monsignor Bacciarini non ha mai avuto una salute robusta, tuttavia era già Vescovo quando si è trovata profondamente malato e uomo dei dolori. Ogni tanto doveva trascorrere lunghi periodi in ospedale e ha dovuto sottoporsi a diversi interventi chirurgici. A volte gli veniva a mancare la voce. Si era rivolto al Papa per ottenere il permesso di dare le dimissioni, ma il Papa, rispondendo di proprio pugno, lo aveva invitato ad attendere e curarsi. Chi dei due ha sofferto di più? La biografia di entrambi sembra a volte una storia clinica, una dolente via crucis. Madre Elisabetta fa riferimento alle sue sofferenze nella corrispondenza, nel Diario, nei dialoghi. “Ero tanto malata da temere che mi si spezzasse il cuore”. Tre giorni dopo mi uscirono dei bubboni grandi, come uova, sui fianchi, sul petto e sullo stomaco. Ero ridotta a pelle e ossa e non potevo muovermi, perché il solo tocco del lenzuolo mi procurava dolori fortissimi”. Don Mazzetti condensa in un suo capitolo – che intitola Il dolore – le malattie e le sofferenze di Monsignor Bacciarini, come le ricerche di cura e gli interventi negli ospedali e nelle cliniche dove era costretto a riposare. La personalità si dimostra nella prova. Non è tanto la malattia e la quantità della sofferenza ciò che conta. Il dolore di un uomo potrà sempre essere superato da quello di un altro uomo. Nessuno però arriverà a superare il dolore di Cristo nella sua passione e morte di croce. Quello che conta è il modo di dare senso al dolore e alla malattia. L’esempio di Giobbe sarà sempre una preziosa lezione di umanità. Il dolore e la sofferenza possono essere modo provvidenziale per superare il male con il bene. La croce di Cristo dà senso alla sofferenza che salva. La spiritualità delle brigidine ha sempre presente il pensiero della Santa Patrona d’Europa: Amor meo crucifixus est! O crux ave spes unica! Tutto cambia se guardato da questa prospettiva, che è poi la via del discepolo cristiano. Nei nostri due personaggi le sofferenze sono trasformate in gioia, in fonte di pace interiore e di offerta esistenziale insieme a Maria, la Madre della compassione. Tutti e due hanno scoperto il senso cristiano del dolore e hanno fatto della malattia la fonte di nuove energie spirituali. L’esperienza del dolore ha portato a compimento le due personalità.